Don Gigi sullo sfondo di 40 anni di cambiamenti

Si chiude un periodo? Un periodo iniziato, per alcuni, tanti anni fa. Estate 1961, un giovane Viceparroco sbarca in un territorio difficile, rioni popolari. Molte famiglie sono povere, e tirano avanti come possono, tanti arrivano dal meridione e si adattano a vivere in alloggi di fortuna, i giovani della zona tirano calci ad un pallone in una polverosa piazza Statuto. La Parrocchia (che allora comprendeva Borgo Ala e Porta Milano non ancora espansa verso l’attuale area industriale) ha perso da pochi mesi il vecchio Parroco, don Giuseppe Palena, da tutti considerato un Santo per la sua grande carità e per aver cresciuto una generazione di giovani alla scuola del servizio ai poveri.
Il nuovo Parroco, don Giuseppe Debernardis, ha voluto come suo collaboratore proprio quel giovane sacerdote, fresco di ordinazione, per far ripartire l’attività dell’oratorio e ridare slancio alle iniziative parrocchiali.
E Don Gigi si lascia prendere da quell’impresa mettendoci impegno e generosità. Vengono attratti tanti giovani bisognosi di essere orientati e capiti e facendo comprendere che le attività non erano solo divertimento ma formazione e momento educativo: riprende la tradizione degli spettacoli teatrali, squadre di calcio competitive, ferie in montagna (le vette sinonimo di meta per obiettivi spirituali), la scuola di canto, le serate e le gite al suono della fisarmonica,…….ma, accanto a questo richiamo accattivante e di allegria, soprattutto una proposta spirituale alta. Aiuto a riscoprire la bellezza della liturgia, l’importanza della direzione spirituale, gli esercizi spirituali, l’aiuto alla preghiera e a pregare con i salmi di lodi, vespri, compieta), l’orientamento a vivere senza eccessi e fretta le prime esperienze di innamoramento e la fase del fidanzamento, l’abitudine a non chiudersi nelle proprie certezze e comodità ma capacità di attenzione alla storia e alle situazioni del mondo erano gli anni del Concilio, del disgelo tra USA e URRS, del centro – sinistra, del primi fermenti che portarono al ’68 e che coinvolsero anche tanti giovani sacerdoti e seminaristi).
Dopo aver impostato questo lavoro don Gigi viene chiamato dal Vescovo ad occuparsi del Seminario (per far fronte alla crisi e nell’insegnamento dove, in un periodo difficile, lavora aiutando tanti giovani a diventare cittadini responsabili e cristiani sensibili alla giustizia sociale, sempre con equilibrio rispetto a spinte culturali radicali. Poi passa ad una nuova esperienza come Parroco di S. Stefano.
Ma il primo amore (così definiva il suo rapporto con l’Addolorata, e che fosse vero amore lo dimostra la sofferenza degli ultimi anni mai fatti pesare e che mai ne hanno diminuito l’impegno e la costante presenza) il primo amore non si scorda mai…..ed ecco allora, nel ’90, accetta di sostituire don Pietro Palena che per 23 anni aveva guidato la parrocchia con sensibilità e capacità nel gestire la fase post-conciliare. Erano stati anni di promozione laicale, di progettualità pastorale, di stimolo all’impegno sociale nel quartiere e nella città. Eredità da raccogliere impegnativa, ma le capacità di Dongi erano in grado di orientarla verso le scelte richieste dalla nuova situazione.
E’ caduto da poco il muro di Berlino e il panorama mondiale inizia a mutare rapidamente, la globalizzazione oltre a offrire occasioni positive crea distanze economiche e miseria ancor più marcate per i poveri del mondo, la situazione del Paese evolve sovvertendo certezze e situazioni che parevano immutabili, la Chiesa entra nel decennio dedicato al Vangelo della Carità.
E la carità sarà la prima emergenza a orientare le scelte pastorali: l’arrivo degli albanesi interpella le nostre comunità, e Dongi fa dell’accoglienza e dell’integrazione un impegno caratterizzante, che gli procura anche antipatie e minacce. Questa però sarà la nuova frontiera, la trincea pastorale.
L’altro impegno è rivolto alla famiglia: sia dal punto di vista del supporto dato a come vivere l’esperienza matrimoniale, la fedeltà e castità coniugale, l’intimità di coppia, che per l’aiuto concreto al compito educativo; anche l’attività dell’oratorio rientra in questa visione: non surrogato ma supporto alle famiglie.
Una terza area caratterizza questi anni: la tensione a favore della pace e uno stimolo ad essere protagonisti della storia e nella vita cittadina. Dopo gli attentati terroristici dell’11/9/01 e il ritorno della guerra nell’attualità delle nostre nazioni ha mobilitato in ogni occasione alla preghiera per la pace, accogliendo l’invito del Papa. Il rosario per la pace, del lunedì, guidato dai giovani è ormai una tradizione. In questo settore “sociale” è stato per molti e in tante occasioni punto di riferimento per lucidità di analisi e per concretezza di orientamento che hanno aiutato a modellare operatori di giustizia, a lavorare con e nelle istituzioni, ad essere coscienza critica e a scrollare un modo tradizionale e tranquillo di vivere la dottrina sociale della Chiesa, indicando la necessità di non abdicare ad una presenza da cristiani nella costruzione della “città”. Il Consiglio Pastorale e i Gruppi parrocchiali hanno avuto più volte sollecitazioni e proposte di riflessione rispetto a questi temi, che si incrociano con le questioni della povertà, dello sviluppo integrale dei popoli, dell’ambiente, ecc. La giornata “un fiore per il Madagascar”, le adozioni a distanza, il sostegno al commercio equo e solidale, l’olio di Nablus acquistato per Natale sono tutte iniziative per chiamare la comunità a quella visione aperta e allo spirito missionario che tiene sveglia la coscienza e che continua a interrogare sul nostro sistema di sviluppo squilibrato per la giustizia sociale.
La missionarietà è un’altra attenzione a cui ha continuamente richiamato tutti, spinto anche da un giovanile desiderio di annunciare il Vangelo in terre di missione. Un desiderio che ha potuto realizzare qui, perché le persone da aiutare e da evangelizzare (si è detto degli albanesi) se le è trovate nel quartiere: immigrati, insorgente ignoranza religiosa, situazioni familiari delicate a cui dare speranza e indicare un futuro di riconciliazione, questioni legate al mondo del lavoro da denunciare per ribadire il primato dell’uomo su altri fattori dell’economia (significativo l’intervento, in accordo col Vescovo, sulla recente questione Rotomec), ecc.
Nell’ultima omelia domenicale aveva ricordato a tutti che pregare vuol dire “intimità col Padre” “fare le coccole a Dio” e che per chiedere è necessario “portare tutti nel cuore”; e ci ha sempre suggerito qualcuno o qualche situazione da portare nel cuore quando parliamo con Dio.
Di recente aveva festeggiato il 43° di ordinazione sacerdotale dicendosi felice di questa vocazione e di come il Signore gliela aveva fatta vivere. Anche noi vogliamo ringraziare Gesù per averci fatto incontrare un prete preparato, aggiornato, esigente e rigoroso ma disponibile come don Gigi. Ci mancheranno le sue omelie sempre attuali e concrete, la sua amicizia, la sua profonda cultura, la serietà nell’attuare le direttive del Vescovo; a volte abbiamo discusso le sue proposte, ne abbiamo in qualche circostanza criticato le decisioni: ci mancherà anche questo confronto franco.
Si chiude quindi un periodo? Non credo! E’ solo il passaggio di testimone; perché in questi anni il laicato è cresciuto alla sua scuola. L’autorevolezza e il rigore di don Gigi, l’essere sincero anche se scomodo hanno aiutato tutti noi ad essere più corresponsabili, a imprimere alla pastorale un ritmo più adeguato ai tempi, a superare la fase della delega magari scontrandoci per compiere la scelta più opportuna. Perciò che la Parrocchia possa continuare il proprio cammino consapevole che si è aggiunto un altro parroco “santo” a quelli che lo hanno preceduto nel XX secolo. E lui di lassù vigilerà su di noi e continuerà a pregare per la sua gente.

Carlo Baviera.

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