Enzo Bianchi, priore del monastero di Bose

Non ci sorprende allora che la pace sia realtà difficile da costruire e delicata da preservare, capiamo perché essa richieda sforzo interiore e riflessione collettiva, perché sia invece più veloce e pratico ricorrere alle schematiche identificazioni e contrapposizioni religiose in modo che i “militanti” non debbano troppo riflettere sulla bontà della loro causa e dei mezzi scelti per perseguirla: se “Dio lo vuole” i dubbi cadono e tutto è lecito, se “Dio è con noi” è certamente contro i nostri nemici, se “Dio benedice i nostri eserciti” la guerra che combattiamo è “santa”.Immaginare la pace, allora, significa anche liberarsi da questi schemi mentali, dare spazio e possibilità di espressione all’altro, alla sua identità e alla sua verità: immaginare la pace significa, come ricorda ancora Paul Ricoeur, “non sognarla o allucinarla, ma concepirla, volerla e sperarla. La pace, infatti, in ultima istanza, è più dell’assenza della guerra o della sospensione della guerra: è un bene positivo, una condizione di felicità che consiste nell’assenza di timore, nella tranquillità dell’accettazione delle differenze… Se si dovesse designare una forma verbale che distingue l’immaginazione della pace dal sogno, io la chiamerei l’ottativo della tranquillità, nella calma accettazione delle differenze su scala planetaria”.

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